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C’è anche un’enorme componente di fine tuning tecnico alla ricerca delle performance e della leggerezza della piattaforma. Non si parla di eliminare automatismi e funzioni dal progetto ma di concezione ottimizzata tramite l’utilizzo di quegli accorgimenti e best practices che possono snellire il codice pur mantenendo tutte le funzionalità, eliminando tutto il superfluo ma che di base quasi sempre esiste su un sito, per via dell’attuale metodo di sviluppo dei CMS, che potremmo definire a strati.
Parliamo prima di tutto e soprattutto dei progetti sviluppati con WordPress, ma ovviamente anche gli altri CMS sono interessati dalle ridondanze e frammentazioni del codice. Se sembra arabo non temete, che adesso entriamo nel dettaglio.
Restiamo proprio su WordPress, perché ai fatti è la base della stragrande maggioranza dei siti web che vengono commissionati quotidianamente, e perché con ogni probabilità è la casistica che interesserà maggiormente il nostro lettore. Grazie alla Google Search Console anche il proprietario di un sito internet senza competenze tecniche può apprendere alcuni basici concetti ed effettuare delle azioni per migliorare il posizionamento del sito. Per chi non sapesse cos’è, la Google Search Console (un tempo “Strumenti del Webmaster”) è una piattaforma messa a disposizione da Google affinché il proprietario di un sito, o un tecnico incaricato, possano dichiarare al motore di ricerca l’esistenza di un sito su un determinato dominio, dichiarare la proprietà di quel dominio, dichiarare da quante pagine è composto quel sito e, più in generale, compiere un vasto ventaglio di azioni utili a favorire il posizionamento del proprio sito sul motore di ricerca Google. Tra le altre cose, si può chiedere a Google, tramite il tool PageSpeed Insights, di misurare le performance del proprio sito. Il software che opera con questo tool, noto come Lighthouse, scansionerà il sito e restituirà dei voti precisi nel merito di 4 distinti indici: Prestazioni, Accessibilità, Best Practice e SEO. Anche qui notiamo, per l’ennesima volta, una sorta di tacito consenso (e incoraggiamento) da parte di Google alle attività SEO, policy sulla quale avevamo già puntato una luce parlandovi dell’abitudine di Google di comunicare il rilascio di un suo miglioramento nell’algoritmo di posizionamento, o di rilasciare pubblicamente le guide per i Quality Evaluators. Sì perché di strumenti software per valutare la velocità del proprio sito internet ne sono stati sviluppati diversi negli anni e anche di indiscutibile qualità (GTmetrix per esempio), ma se pensate che Lighthouse è espressamente sviluppato per fornire il preciso punto di vista dell’algoritmo su come dovrebbe essere un sito ottimizzato, allora potete capire quanto cambino le carte in tavola e l’ottimizzazione delle prestazioni raggiunga un valore cruciale e ben definito tra le pratiche SEO on-site.
Tornando ai risultati della scansione con Lighthouse, perché è il main focus di questo articolo, è importante specificare con quale livello di dettaglio ognuno dei quattro ambiti venga sezionato e quantificato. Dopo aver aspettato qualche minuto per l’analisi, la schermata con i quattro punteggi prosegue sotto e mostra quali criticità tengono il punteggio lontano da un perfect 100. Il software vi dirà su quali parti del codice agire, quali parti disattivare, quali fotografie comprimere e quali file spostare, delegare o ritardare nell’esecuzione. Vi dirà addirittura se è necessario utilizzare un plugin, vi suggerirà quali utilizzare e, in alcuni casi, anche di cambiare servizio di hosting. Cronometrerà il tempo di caricamento della pagina suddividendo i millisecondi necessari per caricare o rendere disponibile quella parte di pagina, e vi mostrerà una proiezione di quanto potrebbe migliorare quel tempo di caricamento se adottaste una degna soluzione.
Ma se a grandi linee il report dell’analisi è leggibile anche da un non addetto ai lavori, poi per mettere in pratica le soluzioni è pressoché imprescindibile che vi affidiate a un tecnico. Per carità, è già importante che possiate vedere personalmente se il vostro sito è stato sviluppato con criterio, o è un poco più che inerte ammasso di tema e plugin che occupa spazio sul web e non ha nessun appeal per i motori di ricerca né per i visitatori che non sopporterebbero i tempi di caricamento della schermata principale. Già, dimenticavamo di dirvi che ovviamente l’analisi da parte di Google Lighthouse restituisce risultati sia per la visualizzazione da computer che per quella da smartphone. E chiaramente per smartphone prende in considerazione una connessione in 4G lenta, perché poi è lo scenario di utilizzo tipico. Perché se fondamentalmente una connessione cablata riesce a scavalcare la china di un codice poco ottimizzato e di immagini pesanti, una connessione mobile palesa tutti i limiti della struttura, e ricordate che ormai il 90 della navigazione web avviene da smartphone. A questo punto converrete con me che dare uno sguardo alle PageSpeed Insights della Search Console per il proprietario del sito sia quasi obbligatorio, dopo l’investimento affrontato per lo sviluppo del sito web.
Certamente ci sono lance da spezzare anche per quei siti che non totalizzano punteggi fenomenali, va tenuto in conto che non si può sempre applicare ogni soluzione proposta dall’analisi automatica, e che la piattaforma deve conservare le sue funzionalità tecniche intrinseche. Vi spieghiamo. Torniamo a quanto detto nei primi paragrafi, ovvero che un sito basato su WordPress potrebbe avere tranquillamente anche una dozzina di plugin che devono interagire tra loro. Se questi plugin hanno un impatto sul frontend, molto probabilmente avranno dei fogli di stile CSS e dei JavaScript proprietari che devono appunto essere caricati su frontend. Con ogni probabilità l’analisi vi dirà che dovete minimizzare quel codice, magari spostare il JS nel footer, unificarlo o rimandare l’esecuzione. Immaginate che tra questi plugin ce ne sono diversi che svolgono funzioni molto diverse e non correlate, tutte sul frontend, e hanno anche una gerarchia di utilizzo per la quale una determinata funzione è utilizzabile solo quando un’altra determinata funzione è già stata utilizzata. In quel caso agire scelleratamente sull’ordine e sulla posizione dei file JS andrebbe a creare conflitti e bug sulla piattaforma, che diverrebbe instabile o inutilizzabile. Per motivi simili, minimizzare, spostare o rimandare il caricamento del CSS potrebbe non caricare affatto certi stili oppure abbassarne la priorità di caricamento per cui il sito potrebbe presentare inestetismi, errori grafici e mancata renderizzazione. Per questo motivo sconsigliamo assolutamente ai non addetti ai lavori di attivare e mandare in configurazione automatica uno o più plugin per l’ottimizzazione e lo speed-up di WordPress, ed è raccomandabile lasciarne il sito privo se non si può deputare la configurazione a un tecnico esperto. Che probabilmente selezionerà solo alcune funzioni per tenere stabile il sito, e questo non raggiungerà i punteggi proiettati dall’analisi della Search Console.
Insomma non sempre è possibile ottenere le performance ideali da un progetto che forse è troppo ambizioso per una piattaforma che, per quanto versatile, ha il limite di essere sviluppato a pacchetti e estensioni; e l’ottimizzazione a volte è una lavorazione che rispetto alle ore spese può non garantire il balzo di prestazioni e di conseguenziali visite. E forse sarebbe opportuno sensibilizzare il cliente alla realtà, ovvero che il suo progetto necessita una piattaforma costruita ad hoc, e quindi un budget adeguato alle sue ambizioni.